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Ovidio


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autore
brano
 
Apuleio
Della magia, 102
 
originale
 
[102] Quid etiam est, Aemiliane, quod non te iudice refutauerim? quod pretium magiae meae repperisti? cur ergo Pudentillae animum ueneficiis flecterem? quod ut ex ea commodum caperem? uti dotem mihi modicam potius quam a[m]mpla[m] diceret? o praeclara carmina. an ut eam dotem filiis suis magis restipularetur quam penes me sineret? quid addi ad hanc magiam potest? an uti rem familiarem suam meo adhortatu pleramque filiis condonasset, quae nihil illis ante me maritum fuerat largita, mihi [nihil] quicquam impertiret? o graue ueneficium dicam an ingratum beneficium. an ut testamento, quod irata filio scribebat, filium potius, cui offensa erat, quam me, cui deuincta, heredem relinqueret? hoc quidem multis cantaminibus difficile impetraui. putate uos causam non apud Cl(audium) Maximum agere, uirum aequum et iustitiae pertinacem, sed alium aliquem prauum et saeuum iudicem substituite, accusationum fautorem, cupidum condem[p]nandi: date ei quod sequatur, ministrate uel tantulam uerisimilem occasionem secundum uos pronuntiandi; saltim fingite aliquid, eminiscimini quod respondeatis, qui uos ita rogarit. et quoniam omnem conatum necesse est quaepiam causa praecedat, respondete qui Apuleium dicitis animum Pudentillae magicis illectamentis ad[h]ortum, quid ex ea petierit, cur fecerit. formam eius uoluerat? negatis. diuitias saltim concupierat? negant tabulae dotis, negant tabulae donationis, negant tabulae testamenti, in quibus non modo non cupide appetisse, uerum etiam dure reppulisse liberalitatem suae uxoris [h]ostenditur. quae igitur alia causa est? quid ommutuistis? quid tacetis? ubi illud libelli uestri atrox principium nomine priuigni mei form[orm]atum: 'hunc ego, domine Maxime, reum apud te facere institui'?
 
traduzione
 
C'? qualcosa, ancora, Emiliano, che a tuo giudizio io non abbia confutato? Della mia magia quale premio hai trovato? Perch? avrei piegato con incantesimi l'animo di Pudentilla? Per cavarne quale vantaggio? Perch? mi assegnasse una piccola anzich? una ricca dote? Che splendidi incantesimi! O perch? stipulasse la riversibilit? della dote in favore dei figli invece che lasciarla in mio potere? Che c'? di pi? perfetto di una simile magia? O perch? dietro mia esortazione lasciasse ai figli quasi tutta la sua sostanza, mentre, prima di sposarmi, nessuna largizione aveva loro fatto: e a me lasciasse una piccolezza? Che grave veneficio, dovrei dire: o non piuttosto, che ingrato beneficio? Oppure perch? nel testamento che ella redasse adirata contro il figlio, lasciasse erede il figlio che l'aveva offesa, anzi che me, cui era obbligata? Certamente occorrevano di molti incantesimi per ottenere con fatica questo bel risultato. Supponete che la causa non si tratti dinanzi a Claudio Massimo, uomo giusto e pertinace nella giustizia, ma al suo posto mettete qualche altro giudice perverso e crudele, che si compiaccia di accuse, bramoso di condanne: dategli una pista da seguire, somministrategli un piccolissimo pretesto per decidere secondo le vostre richieste, inventate almeno qualche cosa, immaginare una risposta da dare alle sue domande. Poich? ogni tentativo ? necessario che muova da qualche causa, voi che accusate Apuleio di aver assalito l'animo di Pudentilla con magiche seduzioni, rispondete, spiegate per che cosa egli l'avrebbe fatto, che cosa voleva da lei. La sua bellezza? Dite di no. Era avido delle sue ricchezze? Lo nega il contratto di nozze, lo nega l'atto di donazione, lo nega il testamento, il quale dimostra ch'egli non soltanto non ha cupidamente desiderato, ma che anzi ha rigidamente respinto la liberalit? della moglie. Quale altra causa c'? dunque? Perch? ammutolite, perch? tacete? Dov'? quell'atroce esordio del vostro atto di accusa formulato a nome del mio figliastro: ?Io mi costituisco, o massimo, davanti a te accusatore di quest'uomo...??
 

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